Alberto Bezzi ha fondato il network Concentrazione.eu nel 2015 e dato vita alla rubrica il Network Day. Ogni mercoledì, attraverso delle video pillole su Linkedin e Youtube, condivide consigli utili alla sua rete: un appuntamento che supera mediamente le 5.000 visualizzazioni settimanali.
Pur essendo impegnatissimo con il lancio del suo libro Il Networking Circolare – l’economia circolare delle relazioni di business di Concentrazione, è stato così gentile da rispondere alle mie domande.
Per parlare con Alberto potete contattarlo su LinkedIn ( riceve almeno 500 messaggi ogni settimana e risponde a tutti, quindi siate pazienti).
A che punto del tuo viaggio digitale sei?
Il network Concentrazione conta duemila professionisti con competenze, culture ed esperienze diverse che, messe in comunicazione tra loro, risolvono un’incredibile quantità di problematiche di business.
Sono già 415 i progetti seguiti mettendo in correlazione l’azienda richiedente con lo specifico professionista o società, tra i quali spiccano nomi del calibro di Matteo Lo Duca, Head of Global Shared Services di Essilor Luxottica; Lorenzo Maria Di Vecchio, Legal Director EMEA di Christian Dior; Andrea Veroni, CIO di Liu Jo;Paolo Giglioni, CFO di Mondo Convenienza;Milo Gusmeroli, vicepresidente di Banca Popolare di Sondrio.
Come sei arrivato fin qui?
Sono nato alla fine degli anni ’80 e ho iniziato in mezzo alle viti e ai bulloni, presso la CVB come responsabile organizzazione e qualità.
Negli anni Novanta sono entrato a far parte di TQM Consult SpA, società leader nel settore dei servizi di consulenza di direzione, prima come Senior Consultant e Business Manager e successivamente come Amministratore Delegato.
Dal 2000 ad oggi ho avuto diverse esperienze lavorative con incarichi specifici all’estero, (in Francia, Spagna, Svizzera, Romania e Sud America), avviando e sviluppando per conto della società TQM Consult SpA le sedi locali in termini organizzativi, mercato e di business e per conto di singoli clienti con incarichi di consulenza, organizzazione e riorganizzazione aziendale.
Nel 2006 ho iniziato a fare l’imprenditore.
Qual è la cosa che ti piace del tuo lavoro che ti fa sopportare quella che proprio vorresti non esistesse?
Lavoro solo con persone e manager che hanno voglia di condividere le loro competenze e il loro tempo con gli altri e sono trasparenti.
Mentre avevo gravi problemi in famiglia, gestivo forse il contratto più impegnativo della mia carriera e subivo un lutto, il mio socio in affari e migliore amico, mi ha rubato tutti i clienti. Sono cose che non dovrebbero mai accadere e che non augurerei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico.
La questione è finita in tribunale e se pur vincente su tutti i fronti, ne sono uscito umanamente a pezzi.
Sono tornato in pista grazie ai miei affetti e mi sono riappropriato di quello che avevo perso, cioè la fiducia, mettendola al centro del mio modo di fare networking.
Qual è il cambio di mindset che ti ha salvato o ti avrebbe salvato dal commettere errori?
Ho capito che per me era vitale cambiare il modo di gestire il tempo. Dovevo dividere la mia giornata in tanti singoli task da 25 minuti ciascuno e dovevo rimanere super concentrato, evitando qualsiasi distrazione per non sbagliare.
Un altro cambio di mindset importante, che può essere controintuitivo è il principio del “You must give before you get”: è necessario abituarsi a dare, in prima istanza, piuttosto che ricevere. Bisogna fidarsi… con le dovute precauzioni ma si torna sempre lì, alla fiducia.
Quanto vale la pena rischiare? Raccontami di quando hai presentato qualcosa di cui un po’ ti vergognavi perché non era ancora perfetto.
Quando proponevo l’idea del network mi hanno detto: «Le aziende non credono e non investono nel digitale. Nessun manager ti condividerà mai esperienze e conoscenze e i manager non sanno e non vogliono fare networking.»
Ho deciso di non ascoltarli e ho creato il mio network.
Qual è stato il tuo momento BsoD?
Quando ho organizzato il mio primo evento, che era partito dai Caraibi dove ho lavorato a distanza per 4 mesi: avevo dimostrato le potenzialità dello smart working portando soluzioni ai manager proprio da lì.
All’evento dovevano partecipare i 50 manager a cui avevo risolto problemi e, dato che ero impegnato a lavorare per loro e volevo che l’evento fosse perfetto, avevo scelto una location molto importante a Milano e delegato l’organizzazione ad un’agenzia di comunicazione.
Era praticamente un’ora un quarto di “spettacolo”, oserei dire, perché c’era anche musica tra gli interventi.
Arriva il giorno dell’evento e quando arrivo sul posto, non è presente il referente dell’agenzia affidataria ma un giovane sostituto e la location non era pronta tecnologicamente quindi non era stata adattata.
Il mio responsabile di comunicazione è fortunatamente riuscito a risolvere il problema, facendo pressione sullo staff della location che si è così adoperato per mettermi in condizione di presentare ma avevo davvero temuto il peggio.
Questo dimostra quanto sia importante essere circondato da persone fidate nei momenti importanti.
Quanto è difficile trovare un CTO in Italia e quali qualità deve avere per lavorare
Nella mia rete ci sono molti più CIO (persone che si occupano della gestione di progetti in generale) che CTO.
Oggi il CTO deve avere molte più competenze verticali e specialistiche. Per svolgere davvero la funzione dello Chief Technical Officer in modo efficace, inoltre, deve anche aggiornarsi costantemente. Deve far fronte alla natura di quello che tratta: si occupa della scelta delle tecnologie e le queste ultime diventano presto obsolete.
Su quale altra professione digitale pensi non ci sia abbastanza informazione e formazione?
Credo che ci sia ancora consapevolezza sulla competenza del networking, soprattutto per il digitale e di quanto sia necessaria, anche se lo dice Seth Godin.
Nonostante il covid abbia “forzato la mano” al remote working, molti professionisti e manager, faticano ancora a lavorare efficacemente in smartworking.
Lo smart working, infatti, non è un semplice lavoro da remoto ma un modello di lavoro intelligente che, applicato correttamente a te stesso ed al tuo team, porta grandi risultati.
Investiresti più su una startup cammello (con solide basi di partenza) o su un unicorno (alta valutazione del potenziale)?
Non starei lì a guardare da dove si parte ma piuttosto all’obiettivo. Ho investito in due startup digitali perché sono di fatto innovazioni e si inseriscono perfettamente in un buco di mercato.
A chi vuole andare verso un investimento di questo genere consiglio di puntare su soluzioni digitali, sicure e user-friendly, magari come nel mio caso, che traducono in digitale flussi già presenti offline.