Classe 1981, si occupa di Informatica da quando all’età di 8 anni vide il suo primo Commodore 64. Era il 1989 e da allora non ha più smesso.
Consegue un diploma in elettronica nel 2000 mentre neanche maggiorenne realizzava siti internet e software per una decina di clienti. All’università ha preferito il mondo del lavoro, diventando free lance nel 2005.
Nel 2007 è tra i fondatori della società informatica Sunnyvale S.r.l. dove ancora oggi si occupa di sviluppo software, progettazione di sistemi informativi e consulenza tecnologica per importanti aziende del panorama nazionale italiano.
Mi ha concesso un’interessante chiacchierata, se volete parlare con lui anche voi potete trovarlo su LinkedIn.
A che punto del tuo viaggio digitale sei?
Mi occupo professionalmente di tecnologie dell’informazione e del digitale da circa 20 anni e prima ancora lo facevo da ragazzino appassionato. La cosa che mi affascina più di tutte è la continua evoluzione tecnologica, motivo per cui mi piace sentirmi “al centro” di questo viaggio più che all’inizio, a metà o alla fine.
Cosa ti ha portato fin qui?
Conseguo un diploma in elettronica nel 2000 mentre neanche maggiorenne realizzavo siti internet e software per una decina di clienti. All’università ho preferito il mondo del lavoro, diventando free lance nel 2005. Nel 2007 sono tra i fondatori della società Sunnyvale S.r.l. dove ancora oggi ricopro il ruolo di amministratore e CTO. Nel 2012 scopro la mia naturale propensione nel semplificare concetti complessi e trasferirli a terzi, divento così dapprima docente ed in seguito relatore a conferenze e convegni di settore.
La vera svolta avviene nell’anno 2016 quando decidiamo di verticalizzare le nostre competenze sul mondo Cloud, oggi annoveriamo fra i nostri clienti le più importanti aziende italiane ed anche qualcuna all’estero.
Qual è la cosa che ti piace del tuo lavoro che ti fa sopportare quella che proprio vorresti non esistesse?
Citavo prima la continua evoluzione, insomma è quasi impossibile annoiarsi ma devi avere una passione forte o questo mondo rischia di travolgerti. Inoltre, a differenza di altri mestieri, il nostro puoi praticarlo ovunque (la recente pandemia ha solo accelerato quello che tra le aziende IT avveniva già da molti anni, ovvero il remote working) ed infine l’internazionalità di quello che facciamo: in altre discipline è difficile varcare i confini nazionali.
Quello che invece vorrei non esistesse fa purtroppo parte dell’indole umana: maleducazione, superficialità, arroganza; ogni volta che mi trovo a fronteggiare una di queste situazioni non sono mai preparato abbastanza…
Qual è il cambio di mindset che ti ha salvato o ti avrebbe salvato dal commettere errori?
Riuscire bene nel proprio mestiere è da subito un vantaggio ma rischia di trasformarsi nel proprio limite. Il tempo a disposizione di un singolo individuo, come la vita stessa, sono limitati e la cosa più importante è stata acquisire questa consapevolezza. Da allora spendo le mie energie nella costruzione di una squadra più che a fare il primo attaccante.
Quanto vale la pena rischiare? Raccontami di quando hai presentato qualcosa di cui un po’ ti vergognavi perché non era ancora perfetto.
Di natura sono un perfezionista ma non posso permettermi di non tenere in considerazione il fattore tempo. Ho fatto mio il motto “meglio fatto che perfetto” ma ciò non significa abbassare la qualità di quello che realizziamo. Di solito la qualità viene raggiunta con iterazioni successive, sono gli stessi clienti a chiedercelo pur di rispettare le scadenze strettissime che ci impongono.
C’è stata una volta però in cui avremmo consegnato un lavoro incompleto, non funzionante… Fortunatamente però, il cliente ha rinviato il meeting ed abbiamo avuto qualche giorno in più ultimare l’opera, l’ho interpretato come un aiuto dal cielo.
Qual è stato il tuo momento BsoD?
2019, abbiamo perso un cliente che da solo copriva una percentuale importante del nostro fatturato. Non entro nei dettagli, in casi come questi penso che la colpa stia nel mezzo ma per noi ci sono state ricadute economiche che non avevamo mai nemmeno ipotizzato prima di allora.
Oggi però posso dire che quell’”anno 0” è stata un’enorme opportunità per riflettere, trasformarci ed è il caso di dire che ci siamo risollevati più forti di prima.
Quanto è difficile trovare un CTO in Italia e quali qualità deve avere per lavorare con te
Voglio citare Steve Jobs per definire la figura del CTO: penso sia più simile al capitano dei pirati piuttosto che ad un ufficiale della Marina. Il CTO, oltre alle competenze tecniche elevatissime, deve ripudiare lo status quo, detestare la propria confort-zone, stimolare l’innovazione in azienda sapendo ispirare e guidare interi reparti, sempre dialogando con il management. Insomma è prima di tutto una questione di mindset, questo è il motivo per cui è una figura così rara (di ufficiali invece ne abbiamo fin troppi).
Su quale altra professione digitale pensi non ci sia abbastanza informazione e formazione?
Penso che il nostro Paese possa vantare un livello di competenza tecnico-specialistica tra i più elevati al mondo (in quasi tutti i settori), purtroppo però è difficile fare sistema e mi spiace vedere disperdere le nostre eccellenze, magari all’estero. Se devo però giudicare negativamente la nostra società, credo che la pecca più grande sia il basso grado di “alfabetizzazione digitale di base”, ovviamente tra i non addetti ai lavori. Mi colpisce che molte famiglie non abbiamo un personal computer in casa (lo stesso non si può dire per tablet o smartphone) o che tanti bambini, soprattutto nel primo lockdown, abbiano fatto didattica a distanza via Whatsapp.
Mi piacerebbe che, a partire dalle levi più giovani, si insegnasse che un più utilizzo più attivo e consapevole della tecnologia è possibile, ed è quello che stiamo facendo con Little Coders, un progetto nato in Sunnyvale S.r.l. come scuola di tecnologia per bambini e ragazzi.
Investiresti più su una start up cammello (con solide basi di partenza) o su un unicorno (alta valutazione del potenziale)?
Credo che l’essenza del vero imprenditore risieda nell’amore per il proprio mestiere, nella cura dei dettagli e per il “fare”. Per questo motivo non amo la finanza o il rischio eccessivo e tra i due preferirei la prima, ovviamente con un ruolo operativo al suo interno.