Quando si commissionano dei progetti relativi al settore grafico, spesso non si pone la giusta attenzione su un dettaglio importante: chi è il proprietario dei diritti di sfruttamento dei files sorgente? Il committente del lavoro oppure l’agenzia/lavoratore autonomo che se ne occupa?
Il dubbio in questo caso è legittimo e ci si dovrebbe inoltre chiedere se gli elaborati prodotti per realizzare il progetto di grafica possano essere considerati come opere d’ingegno.
L’argomento non è certo di facile soluzione e già in passato lasciava aperti diversi scenari e motivi di contenzioso.
Per questo in una recente sentenza la Corte di Cassazione ha cercato di fare chiarezza sul problema. Andiamo quindi a capire meglio il caso portato in tribunale ed in che modo si sono pronunciati i giudici.
Il caso portato in Cassazione
La Corte di Cassazione nel giugno del 2022 ha emesso la sentenza n. 19335, nella quale si pronunciava in merito ad un controverso caso che vedeva scontrarsi un’agenzia pubblicitaria ed una società farmaceutica sua cliente.
L’azienda in questione pretendeva che gli fossero restituiti i files grafici esecutivi riguardanti il materiale pubblicitario ed i files sorgente legati a questi lavori di computer grafica eseguiti su commissione.
Il caso è stato affrontato in primo grado con giudizio poi ribaltato in appello. Infatti, il Tribunale di Milano aveva riconosciuto alla società l’esclusiva proprietà di ogni file ed obbligava l’agenzia pubblicitaria alla restituzione.
La sentenza è stata poi portata in Corte d’appello, dove la decisione viene sovvertita. Dunque, i files sorgente per i lavori eseguiti tra il 2006 ed il 2012 erano di competenza dell’agenzia e la loro cessione doveva avvenire soltanto con un corrispettivo economico equo.
Essendo di fronte a opere di tipo informatico, la Corte d’appello aveva deciso di applicare la distinzione tra il concept (corpus mysticum) e la rappresentazione materiale dell’idea (corpus mechanicum).
In riferimento al contratto stipulato tra le parti, la Corte ha poi sottolineato come l’accordo si riferisse esclusivamente ai files esecutivi e non anche a quelli di lavorazione che potevano essere considerati come opere d’ingegno utili per arrivare alla preparazione dell’elaborato finale.
Con il ribaltamento in appello l’azienda farmaceutica decide di rivolgersi alla Corte di Cassazione e come vedremo, in questo caso i giudici hanno confermato la decisione dei colleghi d’appello.
Cosa ha stabilito la Corte
In merito al contenzioso, la Cassazione ritiene che non si possa applicare l’articolo 12 bis della legge sul diritto d’autore, secondo cui “Salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro”.
Il motivo è che tale disposizione fa riferimento alle opere d’ingegno prodotte dai lavoratori subordinati e dall’altro lato ha come oggetto programmi o banche dati a cui non possono essere paragonati i files sorgente.
E tantomeno possono essere richiamate le norme relative al contratto d’appalto o di prestazione d’opera, essendo davanti ad un’opera d’ingegno.
Inoltre, non essendoci stata tra le parti in causa un patto scritto che definisse chiaramente l’oggetto del contratto, la Corte ha sottolineato come la casa farmaceutica si fosse vincolata a ricevere solamente il prodotto finale, ovvero il corpus mechanicum (files esecutivi) e non anche il corpus mysticum (files sorgente), per i quali il diritto di sfruttamento resta nelle mani dell’agenzia pubblicitaria.
Dunque, non potendo provare che la prestazione comprendesse anche l’elaborazione di un’opera d’ingegno e non solo la consegna di files esecutivi, il lavoro reso dall’agenzia può ritenersi concluso ed eseguito perfettamente con la presentazione del prodotto.
Pertanto, senza espressa menzione dei files sorgente nel contratto di committenza, con la consegna del lavoro finale l’agenzia ha dato adempimento a ciò che le era richiesto.
L’importanza della sentenza
Tale sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione va quindi a fornire indicazioni precise alle imprese committenti e ai lavoratori incaricati su un tema delicato come quello della titolarità delle opere d’ingegno.
La conclusione è che, senza un accordo preciso, un’agenzia grafica o pubblicitaria non ha alcun obbligo di consegnare anche i files sorgente collegati ai lavori di grafica realizzati, nel momento in cui questi files sono abbastanza creativi da essere inseriti tra le opere d’ingegno.
Il centro della questione diventa così il contratto. Infatti, per avere diritto allo sfruttamento economico di opere eseguite da lavoratori autonomi, il contratto deve necessariamente fare riferimento non solo al corpus mechanicum, ma anche al corpus mysticum, stabilendo un corrispettivo congruo per l’effettiva cessione.
Ciò significa che, se la cessione viene richiesta dal cliente e nel contratto non si parla espressamente di questo, l’agenzia è tenuta a chiedere un compenso.