I software open source non sono altro che software sviluppati e gestiti tramite una collaborazione aperta e sono resi gratuitamente disponibili a tutti in modo che chiunque possa poi modificarli e ridistribuirli come vuole.
Questo concetto è fortemente in contrasto con le tradizionali applicazioni proprietarie chiuse come Adobe Illustrator, Microsoft Word e tante altre. Queste sono vendute agli utenti dallo sviluppatore proprietario del copyright e non possono essere modificate o distribuite, se non secondo le indicazioni dello stesso sviluppatore.
L’espressione open source in generale si riferisce anche ad una tipologia di approccio che si basa sul libero supporto alla creazione di una qualunque proprietà intellettuale da parte di una comunità attraverso la cooperazione aperta, trasparente e con frequenti aggiornamenti pubblici.
Andiamo quindi ad analizzare nel dettaglio il significato di open source e in che modo ha impattato la produzione e sviluppo dei software.
Cosa significa open source
La maggior parte degli utenti avrà sentito parlare di open source a proposito di Linux oppure nel cercare un’alternativa gratuita al pacchetto Office di Microsoft. Con questo termine, infatti, si intende un software con codice sorgente aperto a tutti che ha generato un nuovo e ampio universo composto di programmi, sistemi operativi e tools di ogni genere.
Ormai l’open source non è più una nicchia per nerd e geek e gli stessi sviluppatori che operano in questo settore sono riusciti ad attirare una community del codice libero formata da centinaia di migliaia di persone sparse in ogni angolo del mondo. Riassumendo, l’open source riguarda tutti i programmi i cui codici sorgente possono essere accessibili e modificabili da chiunque.
La sorgente (source) è l’insieme degli algoritmi e istruzioni scritti in uno dei vari linguaggi di programmazione disponibili e consente al software di funzionare. Avendo accesso libero al codice, un qualsiasi sviluppatore avrà la possibilità di individuare vulnerabilità e falle, modificarne funzioni oppure aggiungerne di nuove. Questo significa che un software open source sarà costantemente migliorato e avrà sempre supporto, anche nel caso in cui la casa madre decida di metterlo da parte.
Il successo dell’open source nel tempo ha prodotto un’estensione del concetto che sempre più spesso viene applicato anche ad altri settori diversi da quello dello sviluppo software in quanto oggi rappresenta anche uno stile di vita caratterizzato dalla volontà di cooperare e condividere con altre persone le proprie capacità, senza necessariamente avere un ritorno economico.
Quando si parla però di open source non bisogna pensare che tutti i programmi o software siano identici. La verità è che sono possibili differenti licenze d’uso che gli sviluppatori scelgono secondo necessità. Per esempio, la licenza GPL (General Public License) è una delle più famose, così come la licenza BSD, la licenza MIT e la licenza Apache. Queste ultime sono simili a quella GPL e differiscono soprattutto per aspetti legati alla redistribuzione del software e al riconoscimento dell’operato svolto dagli autori del software open source.
Storia e origini dell’open source
Fino agli anni Settanta il codice sorgente era considerato come implicito nel funzionamento dell’hardware e non come una proprietà intellettuale coperta da copyright. Infatti, le imprese codificavano il loro software e la condivisione era una pratica abbastanza diffusa.
Nel 1974 è stata instituita la Commission on New Technological Uses of Copyrighted Works (CONTU), la quale ha stabilito che il codice sorgente dovesse diventare una tipologia di opera creativa da proteggere con il copyright. Questo ha dato una forte spinta al settore della produzione di software indipendenti con codice sorgente proprietario come fonte di guadagno.
Negli anni la diffusione dei personali computer ha ampliato il mercato del software che è diventato sempre più competitivo ed ha portato ad una maggiore attenzione alle violazioni sui diritti di proprietà. Una piccola ribellione a tali restrizioni imposte al software è iniziata nel 1983 quando il programmatore Richard Stallman avvia il progetto GNU con lo scopo di trovare un’alternativa open source al sistema operativo Unix di AT&T.
Lo stesso Stallman nel 1985 fonda la Free Software Foundation, mentre nel 1989 crea la GNU General Public License (GPL). Successivamente, poiché in tanti pensavano che con software libero si intendesse gratuito, nel 1999 Christine Peterson ha coniato il termine “open source” per far capire che software libero non si riferiva al prezzo, ma alla libertà di utilizzo da parte degli sviluppatori.
L’avvento di Internet ha poi dato un’accelerata notevole al movimento internazionale e il primo vero progetto open source è stato Linux, un sistema operativo gratuito e open source rilasciato con licenza GPL. Oggi Linux è il più importante software open source al mondo ed è nato come alternativa free al sistema MINIX, a sua volta fondato sui principi di Unix.
Nel 1998 è stata poi fondata la Open Source Initiative (OSI) che ha formalizzato il concetto di open source per tutta la community internazionale. Nonostante la diffidenza iniziale, dai primi anni Duemila il movimento ha lasciato la sua connotazione marginale nella produzione software per diventare standard di settore.
Open source e proprietà intellettuale
Proprietario e open source rappresentano attualmente i due approcci possibili per quanto riguarda la proprietà intellettuale di un programma o applicazione. Grazie all’open source la proprietà intellettuale è rivolta al pubblico e dunque non collegata a scopi di lucro. Invece il software proprietario va a monetizzare il valore di tale proprietà con il pagamento di abbonamenti e licenze.
Alla base però dell’idea di open source non c’è essenzialmente un messaggio anticapitalista o avverso al profitto, ma piuttosto il concetto che, posto nelle mani dei suoi utenti, un software potrà raggiungere il suo massimo potenziale dando maggiore valore a più utenti.
Ad ogni modo, nonostante sia liberamente disponibile per il pubblico, il software open source non è di dominio pubblico e per tale ragione non è una tipologia di proprietà intellettuale priva di qualunque diritto di proprietà.
Infatti, per mezzo di un capovolgimento del classico concetto di diritto d’autore, gli sviluppatori di software open source hanno prodotto quello che viene definito copyleft, modello di gestione che permette l’utilizzo pubblico senza limiti e la modifica del codice sorgente, ma vieta ad utenti terzi di convertire le opere create con quel codice in software protetto da copyright.
La sostenibilità economica dell’open source
Per quanto riguarda il tema dell’open source, da tempo è presente un’evidente lacuna nei finanziamenti. Nonostante negli ultimi anni si sia compresa l’importanza di potersi affidare al software libero, in pochi hanno sottolineato il problema della sua sostenibilità economica.
Certo, in principio si trattava di un gruppo di “smanettoni” che davano il proprio contributo gratuitamente per passione. Eppure, il loro impegno e le loro abilità hanno acquisito un valore enorme nella società contemporanea e meriterebbero maggiori guadagni.
La carenza di supporto finanziario è dunque una falla intrinseca del codice sorgente pubblico. È nato con tale caratteristica e si è sviluppato principalmente come hobby per appassionati. Adesso che ha acquisito notorietà ed è ambito da multinazionali e startup non riesce però ad affermarsi come nuovo modello di business.
Ci sono stati timidi tentativi di risolvere il problema, come il programma di premi Open Source Support del browser Mozilla oppure la Core Infrastructure Initiative della Linux Foundation, ma la situazione non è cambiata. La difficoltà di monetizzazione e manutenzione del codice è ancora un problema attuale.
Il vero scoglio non è tanto la raccolta di fondi e investimenti, quanto piuttosto la mancata redistribuzione lungo la filiera poiché non sembra esserci un sistema a cascata che renda il tutto omogeneo. È come se i fondi restassero bloccati ai livelli superiori, senza giungere mai ai singoli sviluppatori, i reali lavoratori dell’open source. A ciò si aggiunge anche il tema della manutenzione che necessita di altro impegno e competenze tecniche, a dispetto che il software sia e rimanga libero.